Un vero orrore di comunicazione sulla presunta “Pandemia “ inventata dalle industrie farmaceutiche con la complicità dei media, per vendere un vaccino, inutile.
Ricevo, questo bel racconto, di una esperienza vissuta in gioventù, dal suo autore.
Un vero orrore di comunicazione, però se proposto oggi, nel clima di terrore che i media ci stanno imponendo, con il loro inutile allarmismo su la “ Suina” che poi suina non è.
Mi auguro che il nostro autore. abbia solo voluto raccontare un “ pezzo della sua storia personale” e che si comprenda come, le "cose" dal 1917 ad oggi, siano completamente cambiate e che nell’era del digitale faccia sorridere, l’avere paura di un virus che altro, non provoca che, una “ banale influenza”
Giuseppe Maria Galliano
Quando mi svegliai, la stanza era piena di luce; pensai che doveva essere molto tardi, non avrei potuto andare a scuola. Mi rigirai nel letto e solo allora mi resi conto che ero coricato nel letto dei miei genitori, al posto di mia mamma, sprofondato nel grande cuscino con il quale lei dormiva e che a me piaceva tanto. Un odore forte, di qualcosa cotta sulla fiamma viva mi fece cacciare la testa da sotto le coperte, quel profumo mi aveva svegliato anche lo stomaco, avevo molta fame e mi accingevo a chiamare mia madre per sapere perché non ero andato a scuola e perché mi ritrovavo nel suo letto. Non ebbi il tempo di farlo, che lei entrò con un piatto in mano che conteneva una fetta di carne, che lei aveva già tagliato a pezzi piccoli per farmela mangiare a letto. Appena mi vide sveglio disse: “Come ti senti? Hai voglia di mangiare qualcosa?” Alla mia risposta affermativa, un sorriso la illuminò e senza altre parole mi sistemò in modo tale che potessi mangiare a letto. Mangiare a letto era un privilegio particolare, se il cibo era poi una fetta di carne arrostita, significava che ero stato male davvero, molto male, per essere accudito in quel modo. Negli anni della mia infanzia,la carne la si mangiava la Domenica e qualche volta le polpette nel corso della settimana; con i ragazzi i modi erano spicci, i bambini erano trattati senza molte moine, non c’era ne il tempo ne la cultura. Soprattutto, c’era molto lavoro da fare per mia madre che cresceva quattro figli, accudiva alla madre anziana, mentre doveva occuparsi di tutti i problemi piccoli e grandi della casa che non potevano essere di competenza di mio padre, che usciva molto presto la mattina, lavorava tutto il giorno ed arrivava a casa stanco e molto tardi la sera. Era l’inverno del 1957, avevo appena otto anni ed ero stato colpito dalla influenza “Asiatica”*. Avevo passato la notte con la febbre alta, vomito ed emorragie di sangue dal naso. Mentre mangiavo con piacere, mia madre mi raccontò tutto quello che avevo patito, ed il loro timore per le mie condizioni. Mi ritornò alla mente quella brutta sensazione del sangue che scendeva dal naso, ricordai il mio spavento, per quel rosso che non riuscivo a fermare e che colava da per tutto sporcando le lenzuola ed il cuscino. Il passaggio nel letto dei miei genitori era stato necessario, perché, anche una parte del materasso era stata macchiata dal sangue di quella emorragia e come era prevedibile, mia madre, aveva già lavato tutto, ed il mio lettino non era disponibile per il momento. La pulizia era la prima necessaria ed indispensabile precauzione. Alle mie sorelle era stato permesso di salutarmi da lontano e loro lo fecero affacciandosi sulla porta della stanza da letto dei nostri genitori. Questo mi fece sentire solo ed ammalato per davvero, non mi era mai capitato di stare in quella particolare condizione. Avevo dolori da per tutto, ancora un po’ di febbre e respiravo male, perché una narice era ancora chiusa con il tampone con il quale era stata arrestata la epistassi. La mia meraviglia fu grande quando mi fu riportato da mio zio Antonio, che con sua moglie Titina, allora, abitava ancora con noi: “Tuo padre è stato sveglio tutta la notte accanto a te, era pronto a portarti all’Ospedale dei Pellegrini**, se continuavi a stare tanto male.” Il pensiero che mio padre non aveva riposato per colpa mia mi fece agitare molto, non avrei mai voluto procurare un problema a del genere a mio padre. Mi tranquillizzai, quando mi raccontarono che, fortunatamente, la febbre molto alta, con le cure che furono messe in atto, nel corso della notte diminuì e tutti i gravi sintomi di quella influenza si attenuarono, consentendomi di dormire e recuperare. Mio padre, poté così riposare un poco e andare a lavorare come al solito, certamente più sollevato. Dopo aver mangiato la carne mi fu fatto bere il succo delle arance, altro alimento che si utilizzava molto in caso di malattia. Quando nel pomeriggio ritornò a casa, anche l’anziana zia Titina, fu chiamata a consiglio da mia madre,che aveva già sentito il medico, per meglio curarmi. Così, seppi da lei che mi stavo riprendendo molto velocemente e che la mattina dopo, per completare la mia guarigione, occorreva che mangiassi una colazione a base di zabaione e latte. L’uovo, battuto con lo zucchero, era un altro alimento importante in caso di malattia. Spesso a noi ragazzi era imposto di prendere l’uovo fresco, succhiandolo da un buco che era stato praticato nel suo guscio, una operazione, che fatta alla mattina, appena svegli, non era molto gradita. Quel pomeriggio mi fu consentito di stare a letto e di leggere i miei giornalini preferiti, mentre sentivo le voci di mia madre, di mia zia e della signora Rita che abitava nell’appartamento affianco al nostro. La signora Rita era molto preoccupata, aveva sette figli ed era in ansia per quella influenza che si presentava tanto aggressiva e pericolosa, soprattutto per i bambini e per gli anziani. Sentii mia Zia dire, con voce preoccupata: “Sembra quasi come la “Spagnola***”. Allora morirono tanta gente!” “Signore aiutaci!”esclamò atterrita la signora Rita. Ma mia madre la tranquillizzò: “Allora non c’erano le medicine giuste per curarla, adesso con due siringhe si cura pure una polmonite!” Zia Titina che era nata nel 1903, aveva 15 anni al tempo della “Spagnola”, si ricordava bene di quella grave influenza. “Signora mia” disse rivolgendosi alla nostra vicina; “ A quel tempo non c’era da mangiare ed io andavo girando con una pietra di canfora al petto, unita insieme alla immagine della Madonna del Carmine, quella era la nostra unica protezione.” In quel 1957, l’antibiotico si chiamava ancora “penicillina” e veniva assunta attraverso delle dolorose iniezioni intramuscolari, che avevano bisogno di una lunga preparazione per essere eseguite e una certa abilità per farle. Da noi veniva una donna che girava per le case per fare questo mestiere. Noi ragazzi la chiamavamo la “signorina delle siringhe” e non ci era molto simpatica. In quegli anni tutti sapevano a chi dare la colpa di quelle calamità che ricadevano sul genere umano. Era diventato un luogo comune. Di fronte alle stranezze delle stagioni, ai comportamenti riprovevoli ed immorali delle persone, all’insorgenza della pandemia di quella nuova influenza, la risposta era unanime: “E’ colpa della bomba atomica!” Come poteva spiegarsi diversamente la nevicata del 1956 che fu un avvenimento particolare e strano, una nevicata così intensa che non se ne ricordava una uguale, che lasciò Napoli sotto una coltre di neve alta, per molti giorni. I disagi per la popolazione furono molti, perché nessuno era preparato a quel freddo ed a quelle difficoltà di movimento. Ed ecco che l’anno successivo iniziò quella epidemia che sconvolse tutta l’Europa. “La colpa è della bomba atomica!” Aveva affermato, convinta la Signora Rita, facendo riferimento a quegli esperimenti che gli americani facevano nell’Oceano Pacifico, dove interi atolli scomparivano sotto il fungo prodotto dalle esplosioni di ordigni nucleari. Di quello, ora, fortunatamente, non c’è più il ricordo, di atomico c’è rimasto solo il bikini e Rita Hayworth, la famosa Gilda. Delle bombe atomiche e di quella influenza, oggi non resta memoria. Di quel giorno in cui mi curavo della “Asiatica”, ricordo ancora, che mi riaddormentai, mentre le signore chiacchieravano in cucina e che mi risvegliai per un attimo la sera tardi, quando sentii la mano grande e calda di mio padre poggiata sulla mia fronte per misurare la febbre. Dovevo essere sfebbrato, perché quel gesto preoccupato, divenne una carezza, così dolce che ricordo, ancora, con infinita tenerezza. Note *) L'influenza “asiatica” fu una pandemia influenzale di origine aviaria. Il virus si sviluppò tra gli uccelli e le galline e nel giro di poco tempo passò a colpire l’uomo. Tutto il mondo ne fu vittima negli anni dal 1957 al 1960; al termine del contagio si stimarono oltre un milione di decessi. L’epidemia fu causata dal virus H2N2 (influenza di tipo A), isolato per la prima volta in Cina nel 1954. In quello stesso anno fu preparato un vaccino che riuscì a contenere i danni del contagio. Il virus, nel tempo cambiò la sua struttura e divenne: H3N2, che causò una pandemia negli anni 1968 – 1969, ma i suoi effetti furono molto più leggeri. Questo ceppo, nel corso degli anni, produsse ancora molte sindromi influenzali che assunsero diversi nomi come: ”la coreana”, “la cinese”, “la filippina”. **) Nel 1957 l’Ospedale Santobono ed il suo importante presidio di pronto Soccorso Pediatrico, non era ancora in funzione. ***) L'influenza “spagnola”, conosciuta, anche, come "la Grande Influenza", è il nome della più grave pandemia influenzale che abbia mai colpito il genere umano. Tra il 1918 e il 1919 l’epidemia provocò la morte di oltre 50 milioni di persone nel mondo. Una cifra enorme, molto più alta dei decessi dovuti alle epidemia di peste nel medioevo. I sintomi della “spagnola”erano: tosse, dolori lombari, febbre. Dopo questa fase iniziale, la malattia si sviluppava in maniera imprevista e drammatica, i polmoni si riempivano di sangue e la morte poteva sopraggiungere in pochissimi giorni. A dispetto del nome, l’influenza era stata portata in Europa dalle truppe americane che nel 1917, entrarono in guerra contro gli austriaci ed i tedeschi. Il nome “spagnola”, deriva dal fatto che in Spagna, in quel tempo non c’era la censura militare, perché quel paese non era in guerra ed i suoi giornali furono i primi a darne notizia. La “spagnola” provocò più danno alla popolazione civile di quanto non era stato provocato dalla guerra che pure era stata disastrosa.
Giuseppe Biasco